Di seguito l’intervista rilasciata al quotidiano online Clandestinoweb che mi ha chiesto un commento sulla sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
La Corte Europea dei diritti dell’Uomo
ha condannato, ancora una volta, l’Italia per la situazione in cui
versano i detenuti e le carceri. Era già successo nel 2009, ma questa
volta, a differenza della prima sentenza, Strasburgo intima allo Stato
italiano di prendere provvedimenti entro un anno per risolvere alla
radice il problema del sovraffollamento. Questa battaglia è da sempre
quella dei Radicali e in particolare a seguire questo caso in prima persona è stato l’avvocato Giuseppe Rossodivita che abbiamo intervistato.
Avvocato lei ha parlato di soddisfazione e sofferenza per questa sentenza, perché?
C’è soddisfazione da un punto di vista
politico e professionale per la sentenza che è arrivata dopo
l’iniziativa assunta dal Comitato Radicale per la Giustizia Piero
Calamandrei, perché quei sette detenuti erano assistiti da me e dalla
collega Urciuoli. Una sentenza per la quale la corte ha adottato il
procedimento della sentenza pilota ed ha certificato ufficialmente che
la violazione dei diritti umani dipende da una mancata soluzione al
problema strutturale del sovraffollamento delle carceri. Con questa
sentenza, a differenza di quella del 2009 su Sulejmanovic, non solo si
chiede il risarcimento del danno ai detenuti ma si invita entro un anno
lo Stato italiano ad individuare la strada interna per porre rimedio a
questo problema strutturale. Quindi il prossimo governo italiano non
potrà esimersi dall’adottare provvedimenti che fanno parte della nostra
lista di scopo “Amnistia, Giustizia e Libertà”.
Peraltro in un preciso passaggio della sentenza viene stigmatizzato
l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare, un caso tutto italiano,
dove abbiamo il 40% dei detenuti che sono in attesa di giudizio. Quindi
la corte condanna il modo di procedere dei pm italiani e invita, ancora
una volta, lo Stato a sollecitare la magistratura ad applicare soluzioni
di tipo diverso, ampliando il ricorso a misure alternative e riducendo
l’applicazione delle misure cautelari e della custodia in carcere.
Però c’è anche sofferenza…
La sofferenza è come cittadino italiano, non mi piace vivere in uno Stato che strutturalmente viola i diritti umani.
La corte ha dato all’Italia un anno di tempo, ce la farà il prossimo governo ad adeguarsi in tempo?
Il tempo, per i tempi della politica
italiana, è poco anche perché si tratta di un problema che viene da
lontano e per cui tutte le soluzioni che sono state messe sul piatto da
parte di chi si è occupato della vicenda si sono rivelate insufficienti.
E’ importante sottolineare che la Corte Europea ha anche accertato
essere inadeguato quello che finora è stato posto in essere, ovvero il
Piano Carceri, la cosiddetta Legge svuotacarceri, termine falso perché
non ha svuotato nulla e non ha salvato nulla. Il governo si è anche
difeso davanti alla Corte enfatizzando in modo grottesco i risultati
ottenuti con questi due provvedimenti, ma Strasburgo, pur avendo
apprezzato gli sforzi, ha certificato che questi provvedimenti sono
inadeguati. Tra le altre cose dalla prima sentenza del 2009 all’epoca
della presentazione di questo ricorso, 2010, il sovraffollamento è
passato dal 151% al 148% quindi una riduzione assolutamente
insufficiente.
Quindi ci vorranno degli interventi urgenti, voi sostenete da sempre l’amnistia.
L’amnistia è l’unico provvedimento
strutturale capace di far rientrare nell’immediato lo Stato italiano
nell’albo della legalità. Il nostro Paese è stato ancora una volta
condannato dalla Corte europea e, così come la società pretende dai
condannati che si adeguino alle prescrizioni imposte dalla sentenza, in
questo caso noi pretendiamo che lo Stato condannato di adegui alla
decisione della Corte europea. Per noi l’amnistia è l’unica strada
immediata che può, in seguito, aprire il varco ad una profonda riforma
del sistema giustizia partendo proprio dai suggerimenti della Corte e
cioè misure alternative al carcere anche a livello legislativo e meno
ricorso alla custodia cautelare da parte dei giudici.