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lunedì 7 gennaio 2013

AMNISTIA O DITTATURA Articolo da Il Foglio di oggi

Anders Behring Breivik, l’attentatore di Oslo e spietato killer di Utoya sta scontando la sua pena nella Halden Prison in Norvegia. 252 celle dotate di ogni confort: tv, frigo e bagno con doccia, arte contemporanea alle pareti, palestra, laboratori, sovraffollamento inesistente, metà del personale costituito da donne, guardie disarmate. In questo che, nonostante le apparenze, è un carcere di massima sicurezza i detenuti vengono privati della loro libertà personale, secondo quanto previsto dalla Costituzione e dalle leggi norvegesi. 

Su 100 detenuti che in questo carcere scontano la loro pena, solamente 20, al termine della stessa, torneranno a delinquere; 80 non lo faranno mai più.

Ciro Esposito, scippatore di Scampia, sta scontando la sua pena nel carcere di Poggioreale. Nell’ottobre 2012 era rimpinzato di 2.694 detenuti per 1.420 posti disponibili, 1.280 in più del dovuto. Celle maleodoranti dove si ammassano 9 corpi quando potrebbero starcene 4, con l’umidità che fa cadere a pezzi l’intonaco che ancora resiste, un bagno per tutti, senza privacy persino nel momento intimo della defecazione, un bagno lurido che è anche cucina, dove l’odore del sugo o del caffè si mescola con quello delle urine e delle feci. Un’ora d’aria ogni 22 passate steso sulla branda perché per camminare non c’è spazio, un medico ogni 400 detenuti, 30 infermieri per tutto il carcere, 700 agenti, 18 educatori. Una pattumiera sociale. 

Ciro Esposito, terminato di scontare la propria pena – che non consiste nella privazione della libertà personale, ma anche nella privazione del diritto alla vivibilità e alla salubrità dei luoghi, del diritto alla salute, del diritto alla riservatezza, del diritto al vitto, del diritto alla dignità personale e del diritto scritto in Costituzione a essere rieducato – tornerà a scippare e a commettere reati. Con lui altri 69 ogni cento detenuti del carcere di Poggioreale e di tutte le carceri italiane, dove si conta un suicidio ogni 5 giorni (festivi compresi). Solo il 30 per cento dei detenuti, finito il calvario, avrà la fortuna di non tornare più a commettere delitti.

La forza di questi numeri – che danno conto di quanto la battaglia di Marco Pannella per il rispetto della legalità e dei diritti umani è una battaglia per la sicurezza dei cittadini liberi – sarebbe straordinaria, se solo fossero conosciuti dai più. 

Ma l’illegalità del sistema Italia, che è anzitutto illegalità del sistema dell’informazione pubblica in mano ai partiti, fa sì che i cittadini italiani siano lasciati all’oscuro – in quanto massa – di questi dati. Nei giorni più duri della lotta non violenta di Marco Pannella qua e là per la Rete si potevano leggere messaggi che addirittura inneggiavano alla morte di questo “vecchio” che è sempre stato, si poteva ancora leggere, dalla parte dei delinquenti e mai da quella dei “bravi cittadini italiani”. Italiani brava gente, ama dire Marco Pannella, anche di quelli che lo hanno insultato, spintonato e persino sputato perché, durante una manifestazione della sinistra radicale, ritenevano, vittime della disinformazione, che i Radicali, quelli veri, avessero votato a favore del governo Berlusconi. Ha ragione Pannella.  

Quegli italiani non sono cretini o cattivi, sono solo, loro malgrado, ignoranti. Sono le vere vittime di un sistema di propaganda e di disinformazione – spettacolare la campagna contro l’indulto partita il giorno dopo la sua entrata in vigore – in mano a partiti lottizzatori. Partiti con classi dirigenti spregiudicate che negli ultimi vent’anni hanno mirato e mirano a tutt’oggi (basta vedere quel che ha combinato la Lega nord sul ddl per la messa alla prova) a mantenere il consenso, oltre che coi clientelismi territoriali e corporativi, cavalcando il tema della sicurezza con populismo e demagogia. Per un pugno di voti -necessari a continuare a ricoprire cariche istituzionali attraverso le quali saccheggiare il debito pubblico italiano a colpi di indennità stratosferiche, auto blu, ostriche e champagne, lauree in Albania, videopoker e feste con donnine semivestite asservendo giornalisti ed editori impuri – non esitano a mettere a repentaglio, quotidianamente, per le strade del nostro paese, la sicurezza degli italiani. Chissà quante rapine, quanti scippi, quanti omicidi, sono stati compiuti in questi decenni da quei 50 detenuti su cento che, in più rispetto alla Norvegia – il cui sistema carcerario garantisce una minima recidivanza al 20 per cento – usciti dal carcere sono tornati a delinquere.  

Chissà quante vittime inconsapevoli dell’illegalità dello stato si sarebbero potute risparmiare. Perché quel che accade, in termini di minor sicurezza, è proprio il frutto dell’illegalità del sistema carcerario e del sistema della giustizia in Italia. Il nostro codice penale, al pari di quello norvegese, difatti, punisce con la reclusione gli autori dei delitti. La reclusione è privazione della libertà, non è anche privazione del diritto alla salute, del diritto al vitto, del diritto alla salubrità dei luoghi, del diritto alla riservatezza, del diritto alla dignità dell’uomo.

 L’ordinamento penitenziario, la nostra Costituzione e le convenzioni internazionali alle quali il nostro paese ha aderito, sanciscono il diritto alla rieducazione dei condannati, individuano percorsi carcerari per approdare al reinserimento del detenuto, vietano trattamenti inumani e degradanti. Carta straccia, la nostra Costituzione e le nostre leggi: per questo veniamo condannati, come stato canaglia, dalle giurisdizioni europee e internazionali, per lo spazio che ci divide tra le leggi che ci siamo dati, come collettività, e la loro applicazione pratica. 

Agli italiani che invocano la forca o la pena perpetua o che dicono che il carcere è una beauty farm (Grillo) e che dunque va bene così, lancio una sfida. Fate una Lista che espressamente punti a cambiare la Costituzione, il codice penale, l’ordinamento penitenziario e che punti espressamente a far uscire l’Italia dai trattati e dalle convenzioni internazionali. Abbiano il coraggio di uscire dall’ipocrisia i Di Pietro, i Bossi/Maroni, i Grillo, i Fini/Giovanardi, gli Storace, i Berlusconi, e dicano che i loro partiti e movimenti mirano a cambiare la Costituzione cancellando la funzione rieducativa della pena; dicano che i loro partiti mirano a sostituire nel codice penale la pena della reclusione, cioè la sola privazione della libertà, con la pena della reclusione accompagnata da quella della privazione del diritto alla salute, del diritto a vivere in ambienti salubri, del diritto al vitto decente, del diritto alla dignità dell’uomo.  

Spieghino, però, se ne hanno il coraggio, che con un sistema siffatto i detenuti tornano a delinquere nel 70 per cento dei casi, quindi sicurezza poca, ma tanta virilità e vendetta. Abbiano il coraggio, i Bersani, di cancellare l’art. 27 della Costituzione, che nello stabilire la presunzione d’innocenza dell’indagato/imputato fino a sentenza definitiva detta non solo una regola di giudizio processuale, ma anche una regola di trattamento di colui che viene sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere. 

Già, perché nel carcere di Poggioreale a ottobre del 2012, su 2.694 detenuti, solo 922 erano quelli condannati in via definiva, con statistiche che ci dicono che degli innocenti in carcere trattati come bestie —1.772 a Poggioreale — al netto dei suicidi, circa la metà verrà riconosciuta innocente in via definitiva. 

Abbia il coraggio Bersani, con i tanti magistrati in aspettativa eletti da decenni nelle liste del centrosinistra e che fungono da cinghia di trasmissione dei desiderata della più potente associazione italiana, l’Associazione nazionale magistrati, di scrivere in Costituzione e nel codice di procedura penale che la custodia cautelare in carcere è la regola perché ha la funzione di anticipare la pena; che un processo è giusto anche quando la sentenza arriva a 10 o a 20 anni dai fatti; che l’azione penale è obbligatoria solo se lo vuole il pubblico ministero; che l’amnistia la concedono i pubblici ministeri, a loro arbitrio, facendo prescrivere i reati sulle loro scrivanie prima dell’esercizio dell’azione penale nella misura del 70 per cento delle prescrizioni totali, pari a circa 170 mila all’anno, a un milione e 700 mila reati in dieci anni; che i magistrati sono gli unici cittadini italiani totalmente irresponsabili: civilmente, professionalmente e deontologicamente. Abbiano il coraggio tutti costoro di uscire dall’ipocrisia cui danno corpo le loro leggi, abbiano il coraggio di spiegare agli italiani — pronti a scendere nelle piazze se i servizi sanitari non funzionano, ma annichiliti e silenti di fronte alla bancarotta del servizio giustizia — come stanno le cose. 

Marco Pannella sa che questa ipocrisia è foriera di guai addirittura peggiori per la democrazia e la Lista per l’amnistia, la giustizia e la legalità ha il senso profondo di voler tornare alla Costituzione, al suo dettato. 

 “Una delle più gravi malattie, una delle più gravi eredità patologiche lasciate dal fascismo all’Italia” — diceva Piero Calamandrei durante i lavori della Costituente — “è stata quella del discredito delle leggi: gli italiani lo hanno sempre avuto assai scarso, ma lo hanno quasi assolutamente perduto durante il fascismo, il senso della legalità (…) questa perdita del senso della legalità è stata determinata dalla slealtà del legislatore fascista, che faceva leggi fittizie, truccate, meramente figurative, colle quali si industriava di far apparire come vero ciò che in realtà tutti sapevano che non era vero e non poteva esserlo. (…) 

Bisogna evitare che nel leggere questa nostra Costituzione gli italiani dicano anch’essi: non è vero nulla”. Auspicio caduto drammaticamente nel vuoto, quello di Piero Calamandrei, con un legislatore repubblicano che si è dimostrato della stessa pasta di quello fascista. Ma la Costituzione ieri, meglio dei Di Pietro, dei Bossi/Maroni, dei Fini/Giovanardi, dei Grillo, dei Berlusconi/Bersani oggi, si è occupata non solo della salvaguardia dei diritti umani, ma anche della sicurezza di tutti noi. Ecco perché l’amnistia non è oggi un atto di clemenza, ma è un atto necessario per poter tornare alla Costituzione dando l’avvio a un necessario percorso di riforme dell’intero sistema giustizia. 

La Lista per l’amnistia, la giustizia e la legalità questo si propone. Gli altri, a patto di averne il coraggio, si facciano avanti senza ipocrisie con le loro di Liste, quelle per cristallizzare lo status quo in Costituzione e nelle leggi, con buona pace non solo dei diritti umani dei detenuti e dei fruitori del servizio giustizia, ma anche della sicurezza dei cittadini liberi e incensurati.