Anders Behring Breivik,
l’attentatore di Oslo e spietato killer di Utoya sta scontando la sua
pena nella Halden Prison in Norvegia. 252 celle dotate di ogni confort:
tv, frigo e bagno con doccia, arte contemporanea alle pareti, palestra,
laboratori, sovraffollamento inesistente, metà del personale costituito
da donne, guardie disarmate. In questo che, nonostante le apparenze, è
un carcere di massima sicurezza i detenuti vengono privati della loro
libertà personale, secondo quanto previsto dalla Costituzione e dalle
leggi norvegesi.
Su 100 detenuti che in questo carcere scontano
la loro pena, solamente 20, al termine della stessa, torneranno a
delinquere; 80 non lo faranno mai più.
Ciro Esposito,
scippatore di Scampia, sta scontando la sua pena nel carcere di
Poggioreale. Nell’ottobre 2012 era rimpinzato di 2.694 detenuti per
1.420 posti disponibili, 1.280 in più del dovuto. Celle maleodoranti
dove si ammassano 9 corpi quando potrebbero starcene 4, con l’umidità
che fa cadere a pezzi l’intonaco che ancora resiste, un bagno per tutti,
senza privacy persino nel momento intimo della defecazione, un bagno
lurido che è anche cucina, dove l’odore del sugo o del caffè si mescola
con quello delle urine e delle feci. Un’ora d’aria ogni 22 passate steso
sulla branda perché per camminare non c’è spazio, un medico ogni 400
detenuti, 30 infermieri per tutto il carcere, 700 agenti, 18 educatori. Una pattumiera sociale.
Ciro Esposito, terminato di scontare la propria pena – che non consiste
nella privazione della libertà personale, ma anche nella privazione del
diritto alla vivibilità e alla salubrità dei luoghi, del diritto alla
salute, del diritto alla riservatezza, del diritto al vitto, del diritto
alla dignità personale e del diritto scritto in Costituzione a essere
rieducato – tornerà a scippare e a commettere reati. Con lui altri 69
ogni cento detenuti del carcere di Poggioreale e di tutte le carceri
italiane, dove si conta un suicidio ogni 5 giorni (festivi compresi).
Solo il 30 per cento dei detenuti, finito il calvario, avrà la fortuna
di non tornare più a commettere delitti.
La forza di questi numeri – che
danno conto di quanto la battaglia di Marco Pannella per il rispetto
della legalità e dei diritti umani è una battaglia per la sicurezza dei
cittadini liberi – sarebbe straordinaria, se solo fossero conosciuti dai
più.
Ma l’illegalità del sistema Italia, che è anzitutto
illegalità del sistema dell’informazione pubblica in mano ai partiti, fa
sì che i cittadini italiani siano lasciati all’oscuro – in quanto massa
– di questi dati. Nei giorni più duri della lotta non violenta di Marco
Pannella qua e là per la Rete si potevano leggere messaggi che
addirittura inneggiavano alla morte di questo “vecchio” che è sempre
stato, si poteva ancora leggere, dalla parte dei delinquenti e mai da
quella dei “bravi cittadini italiani”. Italiani brava gente, ama dire
Marco Pannella, anche di quelli che lo hanno insultato, spintonato e
persino sputato perché, durante una manifestazione della sinistra
radicale, ritenevano, vittime della disinformazione, che i Radicali,
quelli veri, avessero votato a favore del governo Berlusconi. Ha ragione
Pannella.
Quegli italiani non sono cretini o cattivi, sono solo, loro malgrado, ignoranti.
Sono le vere vittime di un sistema di propaganda e di disinformazione –
spettacolare la campagna contro l’indulto partita il giorno dopo la sua
entrata in vigore – in mano a partiti lottizzatori. Partiti con classi
dirigenti spregiudicate che negli ultimi vent’anni hanno mirato e mirano
a tutt’oggi (basta vedere quel che ha combinato la Lega nord sul ddl
per la messa alla prova) a mantenere il consenso, oltre che coi
clientelismi territoriali e corporativi, cavalcando il tema della
sicurezza con populismo e demagogia. Per un pugno di voti -necessari a
continuare a ricoprire cariche istituzionali attraverso le quali
saccheggiare il debito pubblico italiano a colpi di indennità
stratosferiche, auto blu, ostriche e champagne, lauree in Albania,
videopoker e feste con donnine semivestite asservendo giornalisti ed
editori impuri – non esitano a mettere a repentaglio, quotidianamente,
per le strade del nostro paese, la sicurezza degli italiani. Chissà
quante rapine, quanti scippi, quanti omicidi, sono stati compiuti in
questi decenni da quei 50 detenuti su cento che, in più rispetto alla
Norvegia – il cui sistema carcerario garantisce una minima recidivanza
al 20 per cento – usciti dal carcere sono tornati a delinquere.
Chissà quante vittime inconsapevoli dell’illegalità dello stato si sarebbero potute risparmiare.
Perché quel che accade, in termini di minor sicurezza, è proprio il
frutto dell’illegalità del sistema carcerario e del sistema della
giustizia in Italia. Il nostro codice penale, al pari di quello
norvegese, difatti, punisce con la reclusione gli autori dei delitti. La
reclusione è privazione della libertà, non è anche privazione del
diritto alla salute, del diritto al vitto, del diritto alla salubrità
dei luoghi, del diritto alla riservatezza, del diritto alla dignità
dell’uomo.
L’ordinamento penitenziario, la nostra
Costituzione e le convenzioni internazionali alle quali il nostro paese
ha aderito, sanciscono il diritto alla rieducazione dei condannati,
individuano percorsi carcerari per approdare al reinserimento del
detenuto, vietano trattamenti inumani e degradanti. Carta straccia, la
nostra Costituzione e le nostre leggi: per questo veniamo condannati,
come stato canaglia, dalle giurisdizioni europee e internazionali, per
lo spazio che ci divide tra le leggi che ci siamo dati, come
collettività, e la loro applicazione pratica.
Agli italiani che
invocano la forca o la pena perpetua o che dicono che il carcere è una
beauty farm (Grillo) e che dunque va bene così, lancio una sfida.
Fate una Lista che espressamente punti a cambiare la Costituzione, il
codice penale, l’ordinamento penitenziario e che punti espressamente a
far uscire l’Italia dai trattati e dalle convenzioni internazionali.
Abbiano il coraggio di uscire dall’ipocrisia i Di Pietro, i
Bossi/Maroni, i Grillo, i Fini/Giovanardi, gli Storace, i Berlusconi, e
dicano che i loro partiti e movimenti mirano a cambiare la Costituzione
cancellando la funzione rieducativa della pena; dicano che i loro
partiti mirano a sostituire nel codice penale la pena della reclusione,
cioè la sola privazione della libertà, con la pena della reclusione
accompagnata da quella della privazione del diritto alla salute, del
diritto a vivere in ambienti salubri, del diritto al vitto decente, del
diritto alla dignità dell’uomo.
Spieghino, però, se ne hanno il
coraggio, che con un sistema siffatto i detenuti tornano a delinquere
nel 70 per cento dei casi, quindi sicurezza poca, ma tanta virilità e
vendetta. Abbiano il coraggio, i Bersani, di cancellare l’art.
27 della Costituzione, che nello stabilire la presunzione d’innocenza
dell’indagato/imputato fino a sentenza definitiva detta non solo una
regola di giudizio processuale, ma anche una regola di trattamento di
colui che viene sottoposto alla misura cautelare della custodia in
carcere.
Già, perché nel carcere di Poggioreale a ottobre del
2012, su 2.694 detenuti, solo 922 erano quelli condannati in via
definiva, con statistiche che ci dicono che degli innocenti in carcere
trattati come bestie —1.772 a Poggioreale — al netto dei suicidi, circa
la metà verrà riconosciuta innocente in via definitiva.
Abbia
il coraggio Bersani, con i tanti magistrati in aspettativa eletti da
decenni nelle liste del centrosinistra e che fungono da cinghia di
trasmissione dei desiderata della più potente associazione italiana,
l’Associazione nazionale magistrati, di scrivere in Costituzione e nel
codice di procedura penale che la custodia cautelare in carcere è la
regola perché ha la funzione di anticipare la pena; che un processo è
giusto anche quando la sentenza arriva a 10 o a 20 anni dai fatti; che
l’azione penale è obbligatoria solo se lo vuole il pubblico ministero;
che l’amnistia la concedono i pubblici ministeri, a loro arbitrio,
facendo prescrivere i reati sulle loro scrivanie prima dell’esercizio
dell’azione penale nella misura del 70 per cento delle prescrizioni
totali, pari a circa 170 mila all’anno, a un milione e 700 mila reati in
dieci anni; che i magistrati sono gli unici cittadini italiani
totalmente irresponsabili: civilmente, professionalmente e
deontologicamente. Abbiano il coraggio tutti costoro di uscire
dall’ipocrisia cui danno corpo le loro leggi, abbiano il coraggio di
spiegare agli italiani — pronti a scendere nelle piazze se i servizi
sanitari non funzionano, ma annichiliti e silenti di fronte alla
bancarotta del servizio giustizia — come stanno le cose.
Marco
Pannella sa che questa ipocrisia è foriera di guai addirittura peggiori
per la democrazia e la Lista per l’amnistia, la giustizia e la legalità
ha il senso profondo di voler tornare alla Costituzione, al suo dettato.
“Una delle più gravi malattie, una delle più gravi eredità patologiche
lasciate dal fascismo all’Italia” — diceva Piero Calamandrei durante i
lavori della Costituente — “è stata quella del discredito delle leggi:
gli italiani lo hanno sempre avuto assai scarso, ma lo hanno quasi
assolutamente perduto durante il fascismo, il senso della legalità (…)
questa perdita del senso della legalità è stata determinata dalla
slealtà del legislatore fascista, che faceva leggi fittizie, truccate,
meramente figurative, colle quali si industriava di far apparire come
vero ciò che in realtà tutti sapevano che non era vero e non poteva
esserlo. (…)
Bisogna evitare che nel leggere questa nostra Costituzione
gli italiani dicano anch’essi: non è vero nulla”. Auspicio caduto
drammaticamente nel vuoto, quello di Piero Calamandrei, con un
legislatore repubblicano che si è dimostrato della stessa pasta di
quello fascista. Ma la Costituzione ieri, meglio dei Di Pietro, dei
Bossi/Maroni, dei Fini/Giovanardi, dei Grillo, dei Berlusconi/Bersani
oggi, si è occupata non solo della salvaguardia dei diritti umani, ma
anche della sicurezza di tutti noi. Ecco perché l’amnistia non è oggi un
atto di clemenza, ma è un atto necessario per poter tornare alla
Costituzione dando l’avvio a un necessario percorso di riforme
dell’intero sistema giustizia.
La Lista per l’amnistia, la giustizia e
la legalità questo si propone. Gli altri, a patto di averne il coraggio,
si facciano avanti senza ipocrisie con le loro di Liste, quelle
per cristallizzare lo status quo in Costituzione e nelle leggi, con
buona pace non solo dei diritti umani dei detenuti e dei fruitori del
servizio giustizia, ma anche della sicurezza dei cittadini liberi e
incensurati.